Innanzitutto vorrei dire che, quando si organizzano celebrazioni liturgiche come quella della Santissima Trinità in cui ascoltare il canto gregoriano e le musiche di da Victoria e di altri Maestri del Rinascimento, non è una semplice organizzazione di un evento ecclesiale per “un pubblico” (per cui si resta poi contenti perché “c’era la chiesa piena”), ma per me, è vivere di persona una straordinaria esperienza di Fede attraverso il linguaggio della bellezza. Mi rendo conto di quanto tutto questo faccia bene a me! Sono convinto che la liturgia mi immerge nel mistero di Dio, ma ci sono momenti, come questo, in cui questa convinzione risulta particolarmente vera.
“Mostrami la tua gloria” dice Mosè nel libro dell'Esodo e, devo dire, che questo desiderio, che sta nel profondo del cuore di ogni uomo, l’ho sentito come realizzato. La gloria di Dio si è resa visibile, sensibile, udibile, palpabile. La Liturgia, quella autentica, è fatta per coinvolgere tutti i sensi dell'uomo e in questa liturgia tutti i sensi sono stati profondamente coinvolti. Sembrerà strano, ma proprio nel momento in cui tutti cantavamo quel semplice ritornello del salmo responsoriale: “L'anima mia ha sete del Dio vivente”, proprio in quel momento ho sentito la necessità, il desiderio, quasi l'arsura di questa sete. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente vuole vedere la sua gloria, vuole percepire la sua vicinanza, desidera l'incontro con lui, cerca il suo volto. A questo desiderio, principio di ogni autentica Fede, ha risposto questa musica. Coinvolgendo in un'autentica partecipazione.
E, come già ho citato nell'omelia, davvero quel “Et incarnatus” è apparso come il segno di una creazione che stupisce davanti a tanto mistero rivelato e quella difficoltà al credere “nel mondo che verrà” la musica di Da Victoria ce lo fa percepire come tensione, sguardo certo a una meta lontana, attesa di un incontro, sete di vedere il Dio vivente, desiderio di essere completamente avvolti dalla sua gloria. Gloria che riempie in cielo e la terra, come ci ha detto nel “Sanctus” anelito di far parte di quel regno glorioso “O quam gloriosum” in cui tutti i santi seguono l'agnello dovunque egli vada. Desiderio di percepire quella comunione straordinaria che solo le persone della Trinità hanno e che così difficilmente riusciamo a ritrovare nelle nostre povere vicende della storia. “Nel tuo santuario contemplo la tua potenza e la tua gloria” così diceva il salmista, e quanto vero è stato proprio in questa liturgia. Questo grazie alla bellezza, che non deve essere mai considerata o confusa con un vuoto estetismo, ma come qualcosa di assolutamente necessario perché venga comunicato un mistero sempre infinitamente più grande di noi e che ha bisogno di questo linguaggio per essere maggiormente percepito. La bellezza nella liturgia non è superflua è parte integrante, è necessaria! Senza di essa si rischia di far scadere nel vuoto dell’abitudine anche la grandezza del mistero celebrato.
Ringrazio davvero di cuore tutti coloro che hanno reso possibile questa celebrazione e concludo con un invito: ci siano altre occasioni in cui sperimentare la bellezza della liturgia, perché è questa la “actuosa participatio” che ci invita ad avere il Concilio Vaticano II. Per comprendere in modo sempre più profondo il Mistero di Cristo celebrato nel tempo.
Don Maurizio
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