India 2019
Impressioni di viaggio
India del Sud - 14/27 gennaio 2019
Perché un viaggio in India?
Mi rifaccio alle parole di Tiziano Terzani, giornalista e scrittore:
“India dove la vita è sempre più naturale, dove l’umanità è ancora più varia, dove il tempo è più lungo, dove il vecchio sopravvive accanto al nuovo, dove il vivere e il morire sembrano essere un’esperienza più antica che in ogni altra parte della Terra.”
Parole che meglio non potrebbero definire il Subcontinente Indiano e in particolar modo l’India del Sud, la meta del nostro viaggio.
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Alcuni dati per capire la vastità della Repubblica dell’India: superficie kmq. 3.287.000, popolazione
1.335.250.000, densità per kmq. 385 abitanti. ( in Italia, 200 abitanti per kmq )
Siamo partiti da Milano Malpensa il 14 di gennaio con una temperatura decisamente invernale e dopo un volo di circa 12 ore siamo atterrati a Madras oggi Chennai, capitale del Tamil Nadu, il primo stato dell’India del Sud meta del nostro tour nella Terra degli Dei. L’incontro con la guida locale è stata una vera rivelazione; uomo giovane originario del Kerala, con una padronanza della lingua italiana non comune, molto preparato culturalmente e affabile nell’esporre tutte le sue nozioni sui luoghi che avremmo visitato.
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Ed eccoci a Kanchipuram o più brevemente Kanchi, una delle sette città sante dell’India. Importante centro religioso induista distante circa 70 km. da Chennai, che con i suoi templi, la sua caotica circolazione, i tipici odori di spezie indiane, ci avvolge e ci immerge nella bellezza dei suoi templi, dove una molteplice varietà di persone si muove con la tipica calma orientale.
Kanchi fu capitale del fiorente regno dei Pallava, “dinastia dalle oscure origini”, che tra il V e il IX secolo regnarono su un vasto impero nell’India meridionale e sotto il loro dominio il Tamil Nadu visse una stagione di grande fervore artistico, testimoniato dalle architetture templari di Kanchipuram e di Mamallapuram.
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Entriamo dopo aver lasciato le scarpe, secondo l’usanza religiosa indiana, nel grande tempio dravidico Kailashanath mandir dedicato a Shiva, una delle tre divinità insieme a Brahma e Vishnu, più venerate dagli induisti. Il complesso templare è costituito da più edifici circondati da corti comunicanti di cui la più ampia è quella che racchiude il santuario principale.
Proseguiamo verso il Ekambareshwara mandir, altro bellissimo tempio oggi il più importante e gremitissimo luogo di culto shivaita della città. “Qui lo stile templare dravidico ha compiuto per intero il suo percorso evolutivo.” Il tempio è circondato da massicce mura e altissimi gopura d’entrata che racchiudono una città-tempio con santuari, sale colonnate, cortili, porticati e un grande bacino idrico centrale. La particolarità dei gopura, torri sovrastanti i portali d’accesso al tempio, è quella di avere le alte pareti ricoperte da una quantità di sculture e decorazioni a stucco dai vivaci colori, e di terminare strutturalmente con la consueta volta a botte sormontata da pinnacoli dorati.
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Il primo impatto con la religiosità induista che sprigiona dalla ricchezza creativa dei templi, ci lascia stupefatti e attoniti pensando alla maestria degli architetti del tempo, e alla bravura degli “scalpellini” nell’incidere la pietra di granito dalle scure sfumature. Le lunghe code di fedeli, uomini e donne dai coloratissimi sarees, per entrare all’interno del “Sancta Sanctorum” il luogo più sacro del tempio, ci trasmettono la presenza di una religiosità autentica e spontanea, mista a quel senso di rassegnazione che ogni induista porta con sé fin dalla nascita.
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Tornati a Chennai, la nostra guida ci ha condotto per le strade affollate della città piene di traffico e di bancherelle poste in ogni angolo libero, che vendono di tutto dalla frutta e verdura, dai coloratissimi fiori presentati in ghirlande luminose, dai vestiti più demodès, dai cappellini di paglia di colori sgargianti, da una infinità di oggetti ai nostri occhi inutili, ovverossia innumerevoli “cianfrusaglie…”.
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Sostiamo di fronte alla chiesa cattedrale di San Tommaso, imponente costruzione neogotica risalente al 1896; nel 1986 papa Giovanni Paolo II vi officiò una solenne funzione per celebrare il novantesimo anniversario delle fondazione della cattedrale. Sotta l’altare vengono custodite le reliquie dell’Apostolo Tommaso, che secondo la tradizione si dice che l’Apostolo, dopo aver subito il martirio nel 78 d.C., sia stato tumulato nei pressi. Mi preme ricordare che a Chennai si trovano le reliquie di San Tommaso, a Santiago si trova la tomba di San Giacomo e a Roma le spoglie di San Pietro, Tre Apostoli.
Siamo di nuovo in volo verso Madurai posta a circa 500 km. a sud di Chennai, seconda città più importante del Tamil Nadu, e una delle città più antiche dell’India del Sud.
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La guida ci conduce a visitare i resti del grandioso palazzo Tirumala Nayak, ricca dimora di uno dei più grandi sovrani della dinastia, palazzo che nel suo sfarzo rivela tutto lo splendore e la decadenza di un epoca. Sale dalle dimensioni gigantesche, con colonnati multicolori sormontati da enormi capitelli corinzi, stucchi, fregi, e volte finemente affrescate.
Proseguiamo verso la principale attrazione artistica della città, il complesso templare dedicato a Minakshi e al suo consorte Sundareshvara, centro di gravità che attrae qui quotidianamente migliaia di pellegrini e visitatori da tutta l’India.
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Minakshi mandir, il tempio dedicato alla dea “dagli occhi di pesce”, consorte di Shiva, dove ogni sera, al suo interno, si svolge una suggestiva processione in cui Shiva viene portato a dormire da Minakshi; processione preceduta da carri allegorici circondati da danzatori e suonatori di trombe e tamburi.
Il tempio di Madurai è uno dei più vasti complessi religiosi dell’India ed è considerato “ l’apice dell’evoluzione stilistica del tempio dravidico”. Ciò che più colpisce sono gli enormi Gopura, torri sormontanti i portali d’accesso, e che nottetempo venivano illuminate e servivano da punto di riferimento per i viandanti. L’altezza di alcuni Gopura sfiora i 50 mt. e si calcola che le pareti esterne di ogni Gopura, siano ricoperte da più di 300.000 sculture policrome. E’ un’orgia! per gli amanti delle fotografie, che a stento riescono a contenere gli scatti !!!
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Riporto un commento scritto da Guido Gozzano, che ho trovato sulla guida di Pierpaolo Di Nardo:
“non c’è spazio che non sia stato scolpito a fregi, a divinità, a mostri; le figure sembrano gesticolare, staccarsi, precipitare verso il profano .per farlo a pezzi con le loro venti braccia armate di scimitarra…” Non si potrebbe meglio descrivere l’immagine di queste statue appollaiate sulle torri e sui tetti.
Altra caretteristica dei “Mandir” induisti è il Vimana, la piramide sovrastante il santuario centrale, dove si trova il “Sancta Sanctorum”, luogo inaccessibile ai non praticanti la religione indù.
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Nel tempio di Minaskhi c’è tutto il mondo religioso induista, la vita scorre quotidianamente nei colonnati del tempio; uomini e donne vestite con splendidi saari di seta multicolore si trovano, conversano, consumano i pasti, pregano: questa atmosfera particolare corroborata da innumerevoli odori di spezie e di fiori, ci ha coinvolto piacevolmente confondendoci con la massa di pellegrini frequentatori dei templi.
Continuiamo il nostro viaggio in pullman sulle asfaltate strade indiane, attraversate con regolare cadenza, da dossi che costringono i veicoli a frenate continue con conseguente rallentamento dell’andatura. Come ho già detto il traffico anche sulle autostrade, è particolarmente convulso, e il tempo di percorrenza si allunga a dismisura.
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Arriviamo nella zona chiamata Chettinad dal nome degli antichi ricchissimi mercanti che vi abitarono; visitiamo antichi palazzi dagli stili diversi e dai colori vivaci, dimore ormai quasi tutte abbandonate, ma che testimoniano un passato fiorente e prosperoso. La sistemazione per la notte è in un ristrutturato palazzo arredato con mobili in stile e dove con nostra grande sorpresa, ci aspetta una sontuosa cena preparata elegantemente in stile indiano coloniale, servita da camerieri in livrea, che offrono specialità locali su piatti d’argento. L’atmosfera è cordiale, i brindisi si alternano alla narrazione di storielle, aneddoti, ricordi di viaggi passati, e la serata termina con l’immancabile partita a Burraco, che coinvolge i più appassionati del gruppo tra i quali il Don sempre attento a non lasciarsi sfuggire la giocata vincente.
Siamo di nuovo in pullman verso Trichy, diminutivo di Tiruchirapalli, importante centro commerciale e industriale nel cuore del Tamil Nadu. La città sorge sulle rive del fiume Kaveri, e la nostra guida ci conduce alla visita dell’enorme complesso templare di Srirangam, che si trova sull’omonima isola al centro del fiume. La giornata è bellissima e un caldo sole ci accompagna attraverso la rigogliosa vegetazione che ricopre tutta l’isola; vediamo tanta gente che si immerge nel fiume Kaveri in un rito purificatore, secondo la loro tipica tradizione di accostarsi all’acqua.
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Il tempio di Srirangam è uno dei più importanti santuari vishnuiti dell’India, dedicato a Ranganatha-Vishnu reclinato dormiente sull’immenso cobra, il tutto raffigurato in un’immagine sita nel Sancta Sanctorum, inaccessibile ai non indu. Il simbolo di Vishnu, costituito da una grande V tondeggiante in basso e con un segno rosso nel mezzo, lo si trova dappertutto, dipinto sui muri e sulle facciate dei templi; non mancano i sacerdoti, i Brahmini, la classe preminente nella divisione sociale indiana, costituita come abbiamo detto da sacerdoti ed eruditi, le uniche persone che possono esercitare le sacre funzioni. I brahmini si riconoscono facilmente dal loro abbigliamento con una veste bianca fermata sui fianchi e a torso nudo con a tracolla una striscia di tessuto bianco, si muovono nelle sale dei templi spargendo incenso, benedicendo i fedeli e custodendo devotamente i luoghi più sacri.
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Si accede al complesso da un altissimo e variopinto Gopura con i suoi oltre 70 mt. d’altezza, e proseguendo incontriamo gli alloggi per i pellegrini e per i sacerdoti, cantori, musici, cuochi e via dicendo. Superati vari cortili ci troviamo di fronte alla sala “dalle mille colonne” con pilastri in granito, riccamente decorati, alti sei metri. Dappertutto è un trionfo di bassorilievi, riproducenti uomini a cavallo, danzatrici e dèi, senza “ tener conto della gerarchia nell’ordine cosmico”, figure plastiche e esuberanti, uomini dalle spalle larghe, petto ampio, gambe robuste, donne con seni prorompenti e fianchi molto larghi.
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La nostra impeccabile guida, nel pomeriggio ci conduce a visitare un altro tempio Brihadishvara mandir, dedicato a Shiva; il tempio è protetto dall’Unesco fin dal 2004 ed è racchiuso in una singola corte rettangolare, cui si accede. Il mandapa, la grande sala del tempio, ha un tetto piatto, sostenuto da oltre 150 pilastri, è considerato un prototipo delle immense “sale delle mille colonne” caratteristiche dei templi dravidici. Di fronte all’ingresso principale del santuario, un tempietto colonnato sovrasta la grande immagine monolitica del toro Nandi, la cavalcatura del dio Shiva. Il divino bove è ricoperto di collane e ghirlande, venerato tutto il giorno e cosparso di burro e olio da Brahmini. Con grande nostra fortuna, assistiamo al sacro lavaggio di Nandi, con una solenne funzione consistente nel versare sul toro litri di latte alternantisi a un liquido giallastro a base di olio e spezie; il rito era seguito religiosamente da una numerosa presenza di indiani assorti in meditazione.
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La giornata sempre accompagnata da un caldo sole, terminava con la visita al museo dei bronzi della dinastia Chola, ( IX-XIII sec.) grandi conquistatori e costruttori, che abbellirono il loro vasto regno con imponenti opere architettoniche. Il museo è costituito da una cospiciua raccolta di statuette raffiguranti Shiva danzante; il re della danza è ritratto nel “tandava” la danza cosmica, le sacre movenze del dio con la gamba destra sollevata, la gamba sinistra nella postura “di chi sfugge al morso di un serpente”, le mani protese che sembrano seguire il ritmo scandito dal tamburello che il dio sorregge, tutto in un ordine cosmico a simboleggiare la liberazione dalla materia.
Dopo tante e oserei dire inaspettate emozioni, arriviamo finalmente a Tanjore per un meritato riposo, che ahimè non dura più di una cena e una notte, per essere la mattina successiva, pronti e riposati ad affrontare una nuova giornata ricca di sorprese.
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Lasciata Tanjore, la capitale culturale del Tamil Nadu, dopo un breve tragitto in pullman, incontriamo al tempio di Darasuram, dedicato a Airavateshvara, la manifestazione di Shiva nella forma di elefante bianco; Il tempio tutto circondato da splendidi prati verdi impreziositi da aiuole di fiori e soprattutto da alberi dalla folta chioma, è sempre realizzato con pietre di granito che alla luce del sole assumono un colore marrone chiaro. La struttura dell’edificio è quella classica dei templi dravidici e all’interno del mandapa spicca una statua di Shiva in basalto nero.
Attraversata una fertile regione agricola caratterizzata dalla distesa di risaie intervallate da lussureggianti palmizi, arriviamo a Chidambaram, città da secoli legata al culto di Shiva Nataraja, il dio della danza comisca, come avevamo già annotato durante la visita al museo dei bronzi. Il vasto complesso templare situato al centro della cittadina, come di consueto è protetto da alte mura; l’accesso sormontato da imponente gopura, ci immette in un vasto cortile dove una splendida..colonna dorata con figure scolpite alla base quadrangolare, troneggia maestosa come “portabandiera”, davanti a una enorme statua di Nandi, il toro veicolo del dio.
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La visita continua attraversando la sala delle mille colonne chiamata la “sala del re”, e arrivando a un ampio bacino lustrale circondato da un elegante colonnato e da ampie gradinate, per poi continuare percorrendo deambulatori colonnati, alla “sala degli dèi”; tutto intorno ci narra la danza cosmica del dio, con sculture finemente scolpite sulle colonne, sulle pareti dei templi, tutte esaltanti le movenze delle mani e delle gambe del dio nell’armoniosità del suo essere.
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Ed eccoci a Pondicherry, città situata sulla costa sud del “Bay of Bengal”, capitale di un modesto territorio a statuto speciale, ex colonia francese. Il dominio francese ha lasciato una duratura impronta sulla ville; le strade sono indicate con targhe in francese e in indù, le abitazioni sono in stile coloniale immerse in una rigogliosa vegetazione tropicale, qua e là appaiono scritte in francese che ricordano un passato non molto lontano ( 1954 ) anno in cui il territorio entrò a far parte dell’Unione Indiana. Ricordo il lungomare di Pondicherry con i suoi alberghi e cafè molto affollati, il Gandhi Memorial, impreziosito da antiche colonne portate dai francesi per incorniciare una statua del governatore Dupleix, oggi sostituita da quella del Mahatma.
Qui in rue de la Marine, si giunge all’Ashram di Aurobindo mistico guru bengalese, che nel 1926 fondò una comunità cioè un luogo di ritiro per la pratica della meditazione; il Maestro ebbe un gran moltitudine di seguaci provenienti ad ogni parte del mondo, convinti di trovare nella pratica di esercizi spirituali, yoga e lavoro , il raggiungimento “del pieno potenziale evolutivo dell’uomo”…
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Ricordo ancora la città dell’aurora “Auroville”, progettata da un architetto francese su un’idea di Mira Alfassa, la Mère, compagna di Aurobindo, centro che sorge tra il verde della campagna a una decina di chilometri da Pondicherry. Nel bel mezzo di questa grande estensione di terreno, sorge il Matrimandir, il tempio della madre, un’enorme struttura sferica ricoperta da lastre dorate, accessibile solo agli adepti, con al centro sotto la cupola un’urna di vetro dove vengono conservati campioni di terra provenienti da ben 126 nazioni diverse.
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Il giorno seguente ci attende la visita alla località, forse la più esaltante per la bellezza dei suoi monumenti e per la piacevolezza dei luoghi, denominata Mamallapuram. La città situata sulle coste del golfo del Bengala immersa nel verde delle palme, è considerata una delle mete più frequentate dell’India del sud. Il suo porto noto fin dai tempi dei Romani, testimonia l’importanza della città come centro di intensi scambi commerciali nei primi secoli dell’era cristiana. Sulla spiaggia protetto da un frangiflutti, troviamo un piccolo tempio del periodo classico dell’arte pallava, che per la sua linearità e leggerezza delle forme, ci stupisce e ci ammalia; poco lontano nell’entro terra rimaniamo esterefatti di fronte a una gran palla di granito appoggiata su un terreno leggermente digradante in un equilibrio sorprendente. Vicino incontriamo un tempio rupestre incorniciato da bassorilievi che dimostrano la maturità raggiunta dalle arti plastiche durante il regno dei Pallava. Scene mitologiche, rappresentazioni di dèi, narrazioni di fatti quotidiani, riproduzione plastica di animali, fanno di Mamallapuram un luogo mitico e quasi irreale.. La guida in un gesticolare frenetico, cerca di sottolineare tutti i passaggi più significativi dei monumenti, e a gran fatica riesco a immortalare sulla Nikon, le scene che man mano si presentano.
Rimaniamo tutti estasiati da tanta maestosità, enfatizzata anche dalle espressioni del Don, che compiaciuto della scelta dell’itinerario nel Tamil Nadu, prorompe con la sua voce squillante in “ che meraviglia!!!”, “ va…che meraviglia!!!”.
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Madras, o se volete chiamarla Chennai, ci attende per la cena, e dopo tanto acculturamento, prima di riposare, ci scambiamo le emozioni della giornata e malgrado la stanchezza, siamo quasi tutti curiosi di entrare nei negozietti presenti nell’hotel, per vedere e anche acquistare souvenir più o meno particolari.
Il nostro tour nel Tamil Nadu è terminato lasciandoci però un bagaglio di visioni, ricordi, esperienze non facilmente ripetibili; ma ci aspettano ancora tante altre meraviglie e siamo ansiosi di ammirarle.
“ Incredibile India “ è la definizione giusta per parlare dello stato del Karnataka, la culla della civiltà vijayanagara, civiltà che si impose per circa due secoli dal 1300 al 1550, su una vastissima area dalla Baia del Bengala al Mar Arabico e a sud fino al Capo Comorin.
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Ed eccoci nuovamente in aereo sulla tratta da Chennai a Bangalore, volo interno di circa un’ora e mezza, e all’arrivo all’aeroporto della città più “informatica” dell’India, un comodo pullman ci trasferisce a Mysore, forse l’unica città indiana che conserva un sontuoso palazzo in stile indo-saraceno tutt’ora abitato dal locale Maharaja appartenente alla dinastia dei Wodeyar Raja, dinastia che governò quasi ininterrottamente dal 1400 fino all’indipendenza nel 1947. Se posso esprimere un giudizio del tutto personale, il grande complesso residenziale del Maharaja, malgrado le eccellenti descrizioni fatte dalla nostra guida, mi è parso estremamente di un gusto pesante ridondante di stucchi, ori, colonne tornite, capitelli, lampadari, in una parola che tutto esprime e contiene, “Kitsch “!!!
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Il pullman, nostro mezzo di trasporto simile al Toro Nandi, veicolo di lord Shiva, si dirige verso Hassan, piccola cittadina a nord di Mysore. Attraversiamo l’altopiano del Deccan, la grande zona centrale del Karnataka dove crescono semi oleosi, cotone, canna da zucchero e tabacco, il tutto frammezzato da piantagioni di palme e qua e là da grosse rocce dalle tondeggianti forme. Il sole sempre nostro compagno di viaggio, con la sua sfolgorante luce, rende il paesaggio tutt’attorno, ancora più vivo e lussureggiante.
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A Sravanabelagola ci attende l’imponente statua di Gomateshwara ( 17,5 m.) posta su un’altura raggiungibile con una scalinata di 600 e più gradini da salire senza scarpe !!! Nessuna paura o indecisione, quasi tutto il gruppo inizia la scalata… All’arrivo ci troviamo di fronte all’enorme statua che rappresenta l’asceta completamente nudo, immerso in profonda meditazione: Siamo in uno dei centri di pellegrinaggio “Jain” più antichi e sacri del Paese. Il Jainismo, nato nel nord dell’India contemporaneamente al Buddhismo, come quest’ultimo rifiutò la suddivisione in caste e predicò un messaggio universale di nonviolenza; attualmente in India ci sono circa 10 milioni di fedeli Jainisti, che costituiscono una comunità tra le più influenti e benestanti del Paese.
La discesa sembra a tutti più facile ma è una pura illusione, perché i gradini, data l’usura del tempo dovuta al passaggio di una moltitudine di pellegrini, sono ben levigati, tremendamente lisci, e quindi molto scivolosi. Alla base della scalinata, una gran piscina circondata da alte gradinate, completa il paesaggio rendendolo ancora più gradevole alla vista.
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Visitiamo i templi di Belur e di Halebid splendidi esempi di architettura “stellare”; il primo dedicato a Vishnu, il secondo dedicato a Shiva e alla sua consorte Parvati, entrambi non ultimati ed entrambi rappresentanti per la loro struttura, il più alto risultato della scuola architettonica hoysala.
Molto simili i 2 templi si trovano in ottimo stato di conservazione. Essi sono situati in un ampio cortile quadrangolare, costituito da tre padiglioni collegati al mandapa centrale tramite un portico. La particolarità della struttura dei singoli padiglioni è data dalla loro forma a “stella” che si ripete rastremandosi verso l’alto, formando delle bande squisitamente scolpite con vari motivi di animali, di fiori e delle miriadi di divinità del pantheon indù. Tutti noi rimaniamo estasiati dall’abilità delle maestranze nel lavorare il duro e compatto granito, creando ancora una volta, fasce ornamentali sovrapposte simili per eleganza e finezza a un pizzo veneziano !!!
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Ma la giornata non è ancora giunta al termine e ci dirigiamo verso
Il viaggio continua per circa sette ore verso Hospet, attraversando estensioni di canna da zucchero, coltivazioni di caffè, villaggi immersi nelle palme: un passaggio a livello ferma il nostro pullman e dal finestrino mi diverto a contare i vagoni merci che due possenti locomotori trascinano lentamente, ne conto ben quarantadue!! Un serpentone in movimento!! Facciamo una sosta per visitare le rovine di templi fortificati a Chitradurga. Mura possenti racchiudono quello che resta delle costruzioni templari sparse in un paesaggio lunare dai colori tenui delle rocce granitiche; una gran quantità di scimmie pronte a sottrarre ai visitatori ogni cosa da mangiare, fanno da padroni del sito.
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Ed ecco perché più sopra parlavo di meraviglie che ci avrebbero atteso nel corso del viaggio in Karnataka, perché mi riferivo alle rovine di Hampi, gloriosa e antica capitale di uno dei più grandi imperi indù, dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 1986.
Il sito adagiantesi sull’altopiano del Deccan, rappresenta la testimonianza delle vette raggiunte nella costruzione e rinnovamento dei templi in tutta l’India durante l’impero Vijaynagara. Si dice che alcuni viaggiatori portoghesi all’epoca del massimo splendore di questa dinastia, riferissero nelle loro cronache di viaggio, della magnificenza della capitale, delle grandiose opere architettoniche, delle smisurate ricchezze, dei mercati traboccanti di sete raffinatissime e di pietre preziose. E sono veritiere quelle testimonianze stante la bellezza dei resti e la raffinatezza dei particolari.
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Iniziamo la visita percorrendo l’antica strada Hampi Bazar, per raggiungere il tempio di Virupaksha nell’area sacra; il tempio è meta quotidiana di pellegrini provenienti da tutta l’India del Sud oltre che da turisti sempre alla ricerca di bellezze sconosciute. Il complesso templare si sviluppa attorno a due cortili cinti da colonne e sale che si aggiungono al tempio centrale. Ci stupisce l’alto gopura che sovrasta l’ingresso con la sua altezza di più di 56 m., costruzione che costituisce uno degli elementi più caratteristici del tempio di Virupaksha, insieme al soffitto del grande mandapa. E’ tutto un susseguirsi di stanze, corridoi, ambulacri, colonne finemente decorate, statue di Shiva e di Ganesha in diverse posizioni. Ma la particolarità più interessante e nello stesso tempo più stupefacente, è il carro processionale di Vitthala detto anche il Carro del sole; piccolo tempio scolpito nella pietra e alto 9 m. a forma di carro processionale, trainato da elefanti e munito di ruote un tempo girevoli, ora cementate. Un gioiello di proporzioni perfette riccamente decorato e con particolari che lasciano stupiti per la loro precisione e raffinatezza. Non riporto le emozioni provate di fronte a tanta bellezza, vi dico soltanto che non c’erano sufficienti scatti dell’otturatore Nikon, per immortalare l’insieme e ogni dettaglio.
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La giornata non è ancora al termine e altre sorprese ci attendono. Arriviamo nella “zona Reale” nella parte più meridionale di Hampi, dove troviamo la cittadella Reale, all’interno di una cinta muraria di 32 km. di lunghezza per un’altezza in alcuni punti che arriva 10 m. Qui si trova la “ dimora della vittoria “ costituita da un un grande basamento con tre piattaforme sovrastanti rastremate verso l’alto, dimora fatta erigere da Krishnadeva Raja per commemorare la sua fortunata campagna in Orissa. Visitiamo successivamente la Sala della udienze detta anche la Sala delle cento colonne, per arrivare poco lontano al Lotus mahal, delizioso edificio a due piani a pianta quadrata, il cui aspetto esteriore sembra essere una sintesi di arte indo-islamica. Più avanti il complesso delle Stalle degli elefanti ci stupisce per la sua struttura estremamente elegante e dalle squisite proporzioni. Oramai il sole sta per tramontare e come di consueto in oriente si passa in un attimo dalla luce del giorno allo scuro della sera.
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All’indomani sempre con il nostro pullman, ci spostiamo più a nord-ovest verso i villaggi di Aihole e di Pattadakal, per ammirare due siti archeologici di enorme importanza, che con i loro resti testimoniano il glorioso regno dei Chalukya, del quale furono un tempo capitali. Aihole, con i suoi 125 templi, adagiata lungo le rive del fiume Malaprabha, anch’essa circondata da possenti mura, ci lascia stupefatti dalla maestosità dei suoi templi anche se più sobri nelle forme e meno ricchi di sculture. Tuttavia le testimonianze rimaste mostrano complessivamente un grande laboratorio di architettura all’aperto. Il sito è sempre immerso in prati verdeggianti disseminati da aiuole fiorite e arricchite qua e là dalla presenza di bianchi trampolieri.
Il villaggio di Pattadakal adagiato sulla riva sinistra del fiume Malaprabha, conserva anch’esso vari templi di stile dravidico; qui il tempio di Virupaksha e il tempio di Mallikarjuna entrambi in stile dravidico, costruiti uno accanto all’altro, sono considerati quasi templi gemelli data la loro somiglianza. Corridoi coperti con lunghi colonnati, sale a base quadrata con soffitti costituiti da blocchi monolitici, bassorilievi raffiguranti le varie divinità indù, testimoniano la vita non solo religiosa di un tempo passato, ma anche il fasto della vita di corte all’epoca della dinastia Chalukya.
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Siamo arrivati ahimè alla fine del nostro tour indiano, ma una vera “ chicca…” ci attende prima di lasciare il Sud dell’India. I templi rupestri di Badami sono l’ultima meraviglia che l’Incredibile India ci riserva. La cittadina si sviluppa tra due sistemi collinari di arenaria rossa, pietra che al tramonto assume colori infuocati che si riflettono nello specchio d’acqua artificiale sottostante. I templi scavati nella roccia sono quattro.. posti in sequenza dal basso verso l’alto, tutti strutturati in maniera uniforme con una veranda costruita su colonne, una sala colonnata di forma quadrangolare, e il sancta sanctorum. Le pareti decorate a rilievo rappresentano le varie divinità cui il tempio è dedicato. La grotta uno è dedicata a Shiva, la grotta due è dedicata a Vishnu, la grotta tre è la più grande e quella che racchiude le sculture più belle, la gotta quattro è un tempio jain.
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Il complesso di questi templi rupestri è veramente impressionante e esaltante ripensando all’epoca in cui furono realizzati e all’ingegnosa progettazione per ottenere spazi protetti e facilmente difendibili, scavando nelle colline di arenaria. Badami è stata una vera e inaspettata scoperta di un “sito” unico immerso in un contesto naturale particolare, dove tutto si fonde in una armonica unione dalla espressioni artistiche succedutesi nel tempo al modo di vivere caotico e convulso degli indù.
Un recentissimo aeroporto situato nei pressi di Hubli, ha permesso al gruppo di trasferirsi a Chennai in tempi brevi, per proseguire a notte inoltrata verso Milano Malpensa, ahimè meta finale del nostro straordinario e unico viaggio.
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Dopo un lungo e direi anche faticoso tour nell’India del Sud, siamo tornati arricchiti di tante nuove e affascinanti esperienze culturali, ambientali, di nuovi rapporti sociali e anche di conoscenze di altre religioni. Abbiamo conosciuto il sistema indù delle caste, anche se oggi vietate dalla legge, ma ancora fermamente presenti nella società indiana, composte dai bramini, dai guerrieri, dai mercanti, dagli artigiani, fino all’ultimo gradino, i così detti senza casta, gli intoccabili. Le cinque suddivisioni originarie si erano poi moltiplicate in circa tremila sottocaste. Ogni mestiere aveva la propria casta e questo frammentava la società indù in una miriade di corporazioni chiuse, all’interno delle quali ogni individuo era condannato a vivere e morire, senza alcuna speranza di evasione. Ecco perché gli induisti sperano nella reincarnazione, perché pensano che l’anima nella sua nuova incarnazione, possa salire nella gerarchia delle caste. E’ una rassegnazione finalizzata al raggiungimento di una situazione migliore.
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Termino il mio modesto racconto di impressioni di viaggio citando un passo tratto dal libro “ Stanotte la Libertà “ scritto da Dominique Lapierre, che delinea abilmente il Karma induista cioè la legge universale di causa ed effetto che determina la reincarnazione. La “reincarnazione era una sanzione divina che aveva fornito al potere la soluzione ideale per il mantenimento delle disuguaglianze sociali. Nello stesso modo in cui la Chiesa Cristiana durante il Medioevo invitava i poveri a sopportare la loro sorte facendo balenare il premio della vita eterna, così l’induismo incoraggiava i miserabili dell’India ad accettare la loro rassegnazione nella speranza di ottenere un destino migliore in una successiva reincarnazione.” Questo è la spiegazione direi più autentica, della religione indù, che ci permette di comprendere a fondo il modo di vivere degli indiani “con rassegnazione” nella casta in cui sono nati.
Ringrazio ancora una volta il nostro Don Maurizio per l’abilità e sapienza nel tratteggiare sulle mappe un viaggio così interessante e coinvolgente, tale da mantenere sempre desta la nostra attenzione e curiosità, vero collante per cementare i rapporti di conoscenza e amicizia tra i partecipanti.
Adalberto Ferrari
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